Intervento
alla Camera dei Deputati – 13 marzo 2017
PRESIDENTE.
È iscritto a parlare l’onorevole Casati. Ne ha facoltà.
EZIO PRIMO
CASATI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, in questi anni i progressi
medico-scientifici ed una diversa sensibilità dell’opinione pubblica sul
delicato tema del fine vita hanno impegnato e responsabilizzato il Parlamento
italiano ad un serio dibattito. Siamo oggi giunti, dopo un lungo lavoro in
Commissione, ad una proposta sul consenso informato e sulle disposizioni
anticipate di trattamento. Si tratta di un lavoro approfondito, serio, una
proposta che la Camera si trova oggi a dibattere che pone in essere strumenti
equilibrati e non ideologici in grado di tutelare la volontà e soprattutto la
dignità delle persone malate in situazioni drammatiche, dolorose, sulle quali
la prospettiva di vita sembra non dare speranze. Il testo, che parte con gli
obiettivi della legge di ribadire ciò che recitano gli articoli 2, 3, 13 e 32
della nostra Costituzione e gli articoli 1, 2 e 3 della Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione europea, parla sia del diritto alla vita sia della
responsabilità diretta dei soggetti, quindi un insieme di norme che già nel
dettato costituzionale trovano una linea. Il testo è equilibrato, leggero, che
parla di consenso informato non come un atto burocratico volto soltanto a
riempire un modulo, ma che parla della dichiarazione anticipata di trattamento
come di una volontà, che può essere leggera, quando è espressa molto tempo
prima del momento in cui chi la esprime si trova nella malattia più profonda, e
che invece è data magari in maniera più dettagliata, accompagnati dal medico,
nel momento più vicino alla fine. Però sono due atti che portano con sé la
consapevolezza di non essere lasciati soli, ma di camminare lungo un percorso
della vita che prevede anche l’arrivo alla morte in maniera informata. Io non
sono catalogato né tra chi sostiene di essere l’esercito della vita né tra chi
sostiene di essere l’esercito della morte: penso di tutelare quella cultura che
porta con sé la pienezza della vita, come una persona che ha la consapevolezza
che bisogna concepire la vita come un bene ineludibile e non come un bene finto.
Troppe
volte, negli anni, dal dramma di Eluana Englaro fino al più recente caso del dj
Fabo, gli italiani hanno rimproverato alla politica e alle istituzioni di
essere in ritardo, di non essere all’altezza, di non essere in grado di
esprimere una normativa in grado di tutelare le volontà ultime della persona
nei terribili momenti nei quali il dolore e le terapie non offrono alcuna
possibilità di ripresa. Si tratta, a mio avviso, di sgomberare il campo da
diversi equivoci: la normativa sul consenso informato e sulle DAT non
presuppone alcun riferimento agli esiti di eutanasia. Questo è il primo
elemento da valutare. Non stiamo legiferando sull’eutanasia o sul suicidio
assistito, non credo che lo Stato potrà mai arrogarsi il diritto di decidere
sulla morte di un suo cittadino, nemmeno in casi estremi, nemmeno con il
consenso dello stesso cittadino.
Non esiste,
dal punto di vista storico e giuridico, nel contesto dello Stato moderno di
diritto, la capacità dello Stato di decidere o di delegare ad altri la morte
anticipata delle persone. Lo Stato moderno, democratico, liberale e sociale
impone, invece, la tutela costituzionale della vita e della dignità dei suoi
cittadini. Ogni uomo viene difeso costituzionalmente nel suo diritto ad
esistere, vivere in salute e contribuire al benessere collettivo.
Permettetemi
di riprendere alcune riflessioni del cardinal Martini, che rilasciò nel 2007 a
Il Sole 24 Ore. Alla vigilia dei suoi ottant’anni, il cardinal Martini riflette
sulla vita e la malattia e chiarisce che l’eutanasia non va confusa con il
rifiuto all’accanimento terapeutico: c’è l’esigenza di elaborare norme che
consentano di respingere le cure per stabilire se un intervento medico sia
appropriato; non ci sono regole generali e non può essere trascurata la volontà
del malato e della malattia.
La crescente
capacità terapeutica della medicina consente di protrarre la vita pure in
condizioni un tempo impensabili. Senz’altro il progresso medico è assai
positivo, ma nello stesso tempo le nuove tecnologie, che permettono interventi
sempre più efficaci sul corpo umano, richiedono un supplemento di saggezza per
non prolungare i trattamenti, quando ormai non giovino più alla persona.
È di
grandissima importanza, in questo contesto, distinguere tra eutanasia e
astensione dall’accanimento terapeutico, due termini spesso confusi. Il primo
si riferisce a un gesto che intende abbreviare la vita causando positivamente
la morte; il secondo consiste nella rinuncia all’utilizzo di procedure mediche
sproporzionate e senza ragionevole speranza di esito positivo. Evitando
l’accanimento terapeutico non si vuole procurare la morte, si accetta di non
poterla impedire, assumendo così i limiti propri della condizione umana
mortale.
Occorre un
attento discernimento che consideri le condizioni concrete, le circostanze e le
intenzioni dei soggetti coinvolti. In particolare, non può essere trascurata la
volontà del malato, in quanto a lui compete, anche dal punto di vista
giuridico, salvo eccezioni ben definite, di valutare se le cure che gli vengono
proposte in tali casi di eccezionale gravità siano effettivamente
proporzionate.
Del resto,
questo non deve equivalere a lasciare il malato in condizioni di isolamento
nella sua valutazione e nella sua decisione, secondo una concezione del
principio di autonomia che tende erroneamente a considerarla come assoluta.
Anzi, è responsabilità di tutti accompagnare chi soffre, soprattutto quando il
momento della morte si avvicina: la sedazione del dolore, le cure
infermieristiche. Proprio in questa linea si muove la medicina palliativa, che
riveste quindi una grande importanza.
Dal punto di
vista giuridico rimane aperta l’esigenza di elaborare una normativa che, da una
parte, consenta di riconoscere la possibilità del rifiuto informato delle cure,
in quanto ritenute sproporzionate dal paziente, dall’altra, protegga il medico
da eventuali accuse, come quello di essere condiscendente, quindi ci sia un
aiuto al suicidio, senza che questo implichi in alcun modo la legalizzazione
dell’eutanasia.
La realtà è
molto più complessa di come la descriviamo. Ogni situazione, ogni persona
malata, ogni fine vita sono diversi e complessi. Una cosa è certa: ogni persona
ha dentro un’irriducibile forza vitale che lo spinge ad andare avanti a
sperare, a tentare con ogni sforzo di aggrapparsi alla vita.
Anche nei
drammatici casi ai quali abbiamo assistito recentemente c’era un doloroso grido
alla vita e alla dignità della persona, un irriducibile e doloroso richiamo
alla tutela della persona umana. È sbagliato, è fuorviante, a mio modesto
parere, pensare che in questa materia esistano
solo due
alternative opposte, antitetiche: soffrire senza speranza o, all’opposto,
chiedere di morire. Chiedere la morte per le troppe incurabili sofferenze è
sempre doloroso e non credo possa iscriversi nella tradizione della libertà
personale. Chiedere di alleviare le sofferenze, di ridurre il dolore, chiedere
di evitare cure inutili e non risolutive è invece doveroso come non comprendere
l’accanimento terapeutico.
Vorrei
chiudere il mio intervento richiamandomi ad un documento elaborato recentemente
dalle commissioni etico-teologiche della Chiesa cattolica lo scorso febbraio.
Nella sezione del morire viene considerato l’atteggiamento davanti al malato
nella fase terminale della malattia luogo di verifica della professionalità e
della responsabilità etica degli operatori sanitari. In questo ambito un
aspetto molto attuale e considerato dalla Carta, oggetto di questi giorni di
molte discussioni nel Parlamento italiano, è il riferimento all’espressione di
anticipo da parte del paziente alle sue volontà circa i trattamenti ai quali
desidererebbe o non desidererebbe essere sottoposto nel caso in cui, nel
decorso della sua malattia, a causa dei traumi improvvisi, non fosse più in
grado di esprimere il proprio consenso. La Carta afferma che non è comunque un
mero esecutore…
PRESIDENTE.
Concluda.
EZIO PRIMO
CASATI. Tema ugualmente rilevante è quello della nutrizione e dell’idratazione
anche artificialmente somministrata.
PRESIDENTE.
Grazie.
EZIO PRIMO
CASATI. Concludo proprio in dieci secondi. Considerate che le cure sono dovute
al morente quando non risultino troppo gravose o di alcun beneficio. Ci si
aspetta quindi che siamo chiamati ad un compito impegnativo…
PRESIDENTE.
Deve concludere.
EZIO PRIMO
CASATI. …ma sono convinto che sapremo assolverlo con la giusta saggezza
A presto Cara Terra Mia
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