Il 9
ottobre 2015 è l’anniversario della tragedia del Vajont. Cinquantadue anni fa
il 9 ottobre 1963 una immensa frana si staccò dal Monte Toc, al confine tra
Veneto e Friuli, precipitando nell’invaso della diga di Longarone e sollevando
una massa d’acqua che nella notte spazzò via gran parte dei paesi di Longarone,
Codissago, Erto e altre frazioni, uccidendo duemila persone
Il
Vajont è sempre scomodo, perché ha scoperchiato ferite mai sanate. Bastano le
1910 vittime per ricordare che fu la più grande tragedia europea dopo la
seconda guerra mondiale fino alla catastrofe di Cernobyl, che però non è mai
entrato nella coscienza etica e civile degli italiani. Anzi, ne è stato sempre
e continuamente rimosso. Il Vajont però può parlare ancora e ridestare la
memoria. Anche attraverso le carte del processo, arrivate «temporaneamente»
nell’Archivio di Stato di Belluno dopo il terremoto dell’Aquila dell’aprile
2009, dove si trovavano e furono sepolte dalle macerie del sisma che
distrussero anche il locale Archivio di Stato. Quasi una forma di risarcimento
morale al territorio che aveva conosciuto la tragedia. Eppure quelle carte -
ben più di 150.000 - non hanno requie, perché rischiano ancora una volta di non
sapere che fine faranno. Sì, perché sta avanzando un’ipotesi pericolosa, di
possibile chiusura dell’Archivio di Stato di Belluno.
Fonte (ed altri particolari):
A
presto Cara Terra Mia
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